Molte le critiche di sensazionalismo rivolte ad alcune testate colpevoli, secondo qualche opinionista, di enfatizzare troppo le notizie, di creare panico già nei titoli e di alimentare paure forse eccessive.
Secondo altri, invece, meglio allarmare che sottovalutare.
In ogni caso c’è la necessità di garantire un’informazione vagliata, documentata e fondata su precisi riscontri medico-scientifici, perchè in questa situazione drammatica è in gioco il diritto alla salute delle persone.
La disinformazione, infatti, induce a comportamenti sbagliati che si riverberano sull’intera collettività.
I giornalisti cercano di attenersi scrupolosamente ai loro doveri professionali, formalizzati nel Testo unico dei giornalisti e nelle carte deontologiche più specifiche, come quella di Perugia, del 1995, esplicitamente dedicata all’informazione sanitaria.
Fuori luogo sono sembrati invece gli auspici di taluni che invocano un codice deontologico per i giornalisti in tempi di coronavirus. La delicatezza dell’attuale situazione nessuno la nega.
Nonostante tutto, essa non merita l’emanazione di un nuovo codice (l’ennesimo!) ad hoc, visto e considerato che i principi della deontologia in materia di cronaca sanitaria sono ben noti.
asterebbe rispettare quelli, evitando di indulgere a sensazionalismi, catastrofismi ma anche di cedere a euforie esagerate e fuorvianti.
Raccontare i fatti che accadono, registrare i dati di realtà senza aggiunte sovrabbondanti, mantenendo equilibrio nella narrazione, e non illudere nè allarmare eccessivamente l’opinione pubblica.
Questo è il compito del giornalista-mediatore tra gli avvenimenti e i destinatari delle sue cronache.
Lo dice la legge professionale, lo hanno ribadito negli anni pregevoli sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, l’hanno sancito solennemente alcune importanti carte deontologiche e, da ultimo, il Testo unico dei doveri del giornalista del 2016.